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Album 1989 Recensioni

SIGNAL – Loud & Clear

La cosa più bella quando si hanno dei dischi, consiste nel fatto che basta togliere un po’ di polvere con la mano per riscoprire capolavori dimenticati o semplicemente nascosti dal tempo e da altri ascolti. Questo è quello che mi è capitato quando ho tolto la polvere da un disco datato 1989 (ottima annata oserei dire): loro erano i SIGNAL e l’album (peccato sia stato l’unico) si intitola ‘LOUD & CLEAR’!
La formazione di questo piccolo gioiellino di AOR/Melodic Rock è composta rispettivamente da un certo Mark Free (voce), Danny Jacob (chitarre), mentre Erik Scott (basso e tastiere) e Jan Uvena (batteria) compongono rispettivamente la sezione ritmica! Insieme questi quattro ragazzi, coadiuvati alla consolle da un certo Kevin Elson (già con i Journey di “Escape”, gli Europe di “The Final Countdown” e con i Mr. Big, solo per citarne alcuni – n. d. r.) composero, anche grazie alla loro grande padronanza tecnica, un disco capace secondo me di unire sia palati più raffinati che quelli più heavy oriented. L’album è composto di dieci tracce poggiate su una solida base hard rock in stile 80’s ma che strizza (e parecchio anche) l’occhio a sfumature diverse sia di stampo heavy classico che AOR (leggermente in maggior misura). Eppure per motivi vari, tipo poca promozione, uscito solo per il mercato americano ecc. venne apprezzato da pochi, salvo poi essere rivalutato negli anni a venire, dopo essere stato etichettato anche come disco raro.
Su tutti spicca la figura di Mark Free (ora Marcie, che ci delizia successivamente anche con gli Unruly Child) con una voce potente, raffinata e graffiante che rende le canzoni semplicemente uniche e scintillanti di luce propria. Mark approda nel progetto SIGNAL dopo aver fatto parte (se la memoria non mi inganna) a metà anni 80 dei King Cobra, e unisce la sua ugola d’oro alla perizia tecnica e strumentale di Danny, Erik e Jan. Da questa unione di intenti prendono vita le loro emozioni in musica.

Ma adesso bando alle ciance e mettetevi comodi per questo racconto avvincente all’interno del disco, attraverso un’analisi track by track: si parte!

L’opener “Arms Of A Stranger”, vede la presenza di basso e batteria incalzanti, a sostegno di una chitarra che strizza l’occhio ad un riffing e ad un assolo superbamente hard rock, ma che non dimentica la lezione heavy classic. Mark (cantante che ammiro moltissimo) invece ci fa salire sul’ottovolante della sua voce, dove, grazie alla sua classe, si passa da momenti più hard fino ad arrivare all’aor più emozionale! Con la seguente “Does It Feel Like Love”, è emozionalità allo stato puro: si parte soft ma è solo l’inizio di un crescendo dove Mark indica la direzione, illuminando la strada alla musica di Danny, Erik e Jan. Hard più un po’ di heavy rendono solida e brillante questa perla di rock melodico!
“My Mistake” risulta alquanto catchy sin dalla prima nota, batteria quadrata, basso corposo e chitarre mai eccessive; insomma si abbassano i giri della velocità ma non si abbassa il livello della qualità, qui l’aor permea l’intero brano rendendolo bello all’orecchio di chi ascolta senza mai esagerare.
Su “This Love This Time”, le intenzioni romantiche e aor della band si palesano in questo brano: qui si strizza l’occhio a delle sonorità tendenti verso i 90’s ma senza perdere di identità, il tutto avviene grazie alla grande maturità professionale e artistica dei ragazzi, l’assolo chitarristico è semplicemente una chicca con le (poche) note giuste al loro posto: insomma una gran bella ballad! Con “Wake Up You Little Fool”, si ritorna in un colpo solo nei più profondi anni 80, atmosfere leggermente più cupe e malinconiche fanno da apertura all’esplosione vocale di Mark, che a sua volta è sostenuto da un bel crescendo strumentale generale di tutta la band: hard rock allo stato puro con tutte le più belle e emozionanti influenze 80’s, i cori verso la fine del brano ne sono una prova lampante! “Liar”, è da sempre uno dei brani che letteralmente adoro, si è insediato nella mia testa e non ne è più uscito: emozioni a profusione condite da quella forza espressivamente malinconica di cui Mark è padrone, musica rabbiosamente hard completata da quello che per me è uno dei più begli assoli di tutto il disco. Posso solo dire che quando si ascolta questo brano ci si trova di fronte ad un grande momento di hard rock elegantemente vestito di aor che risente degli echi dei Journey in “Separate Ways”, grazie anche al finale sublime con il sospiro sospeso di Mark e lo stop totale prima della conclusione strumentale. “Could This Be Love”, è semplicemente aor, aor e ancora aor: bello, semplice, genuino, delicato accarezzato da una band che, brano dopo brano, non perde un colpo e che gioca a nascondino con la sua identità musicale senza mai farla scomparire ma adattandola ad ogni istante del loro cammino in questo disco, con un altro assolo azzeccatissimo e perfetto per quello che raccontano in quel momento, semplicemente incredibile! “You Won’t See Me Cry” è il mio brano preferito in assoluto del disco, totalmente riuscito dalla prima all’utlima nota: Mark parte come un missile, per poi diventare come un’onda costante che varia di momento in momento, passando da momenti emozionali pieni di pathos, a momenti struggentemente rabbiosi dove mette in gioco tutte le sue enormi capacità! Insomma pelle d’oca assicurata, anche perché ci sono dei coretti ruffiani che aiutano (qualora ce ne fosse bisogno) a rendere più appetibile questa traccia: le tastiere qui si sentono di più, non sono mai fuori luogo e sono molto gradevoli, ci troviamo di fronte ad una canzone che deve essere suonata con volume a palla, con stivali a punta, jeans rotti, capelli rigorosamente cotonati e chi più ne ha più ne metta. Se volete capire ancora di più di cosa parlo immaginate (live) “Reason To Live” dei Kiss!

Con “Go”, ci si ferma un po? No, per niente. Questo è un brano che ha (forse) un piglio un po’ più radiofonico nelle parti cantate (non è assolutamente una critica anzi) ma la chitarra di Danny (con il suo ennesimo assolo azzeccato) e l’arrangiamento congiunto di Erik e Jan danno tanta qualità da far drizzare le orecchie anche a chi poteva nutrire qualche dubbio. Devo precisare una cosa, questo brano (almeno per me) non è stato di facile assimilazione, ma dopo due o tre ascolti tutto è andato per il verso giusto.
“Run Into The Night” e siamo alla chiusura di questo puzzle: AOR, tanto per gradire, e qui c’è qualcosa che mi fa pensare a Mick Jones e ai suoi Foreigner. Grande perizia anche qui, e credo che possiamo chiamarla classe per la degna chiusura dell’abum, con Mark sempre sopra gli scudi!
E’ un disco che consiglio di ascoltare a tutti (senza distinzione di genere o etichette varie), pieno di luci malinconiche, di colori cangianti, melodia sopraffina e soprattutto intriso di una classe musicale non indifferente e mai banale. Un plauso ai musicisti che sono riusciti ad essere al top in ogni brano, ma soprattutto si sono integrati tra loro come meglio potevano fare pur avendo tra le loro file un elemento di spicco come Mark.

Tracklist:
1. Arms of a Stranger
2. Does it Feel Like Love
3. My Mistake
4. This Love, This Time
5. Wake Up You Little Fool
6. Liar
7. Could This Be Love
8. You Won’t See Me Cry
9. Go
10. Run Into the NightLine-up:Mark Free – voce
Danny Jacob – chitarre
Erik Scott – basso e tastiere
Jan Uvena – batteria


Genere: Hard Rock / AOR / Melodic Rock


Data di pubblicazione: 1989

Ristampe: 2008

Etichetta: EMI

Fonte: Rocco Faruolo

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